Il critico cinematografico Alberto Crespi ha scritto un articolo sul suo rapporto con Kubrick. Dalla folgorazione per Arancia Meccanica visto all’uscita nelle sale nel 1972 alla tesi di laurea su Barry Lyndon, dai colloqui con Julian Senior alla recensione londinese di Eyes Wide Shut, Crespi confessa la sua ammirazione per questo gigante del cinema.
Crespi ha letto la sterminata bibliografia dedicata alla vita e alle opere di Stanley Kubrick, ma “i libri di critica sono eccessivamente intellettuali e fumosi, le biografie sono noiose e sensazionalistiche, le testimonianze dirette dei collaboratori sono spesso, al contrario, fin troppo idilliache”.
Ma in questi giorni, finalmente, è uscito un libro che per la prima volta sembra catturare il vero Kubrick, l’uomo quotidiano – che poi è tutt’uno con l’artista, perché proprio dal libro si capisce come Kubrick fosse sempre “on”, come dicono gli inglesi: sempre acceso, sempre concentrato sul film da fare. In più, è un libro divertente e toccante, persino commovente: cosa davvero paradossale per un regista che ha tenuto lontana la lacrima da tutti i suoi film, salvo poi rendere struggente (in “2001″) la “morte” di un computer. Il libro in questione, edito dal Saggiatore (prezzo 17 euro), si intitola “Stanley Kubrick e me” ed è scritto da Emilio D’Alessandro in collaborazione con Filippo Ulivieri.
Quest’ultimo è un kubrickiano di ferro ed è l’inventore del sito www.archiviokubrick.it, probabilmente il miglior repertorio in italiano reperibile in rete sul regista. D’Alessandro invece è un personaggio di cui tutti abbiamo sentito parlare prima e dopo la morte di Kubrick, e che qui esce dalla leggenda con un’umanità e una simpatia straordinarie. Da sempre i kubrickiani favoleggiavano sull’esistenza di questo mitico autista ciociaro, Emilio appunto, che sarebbe stato accanto a Kubrick per anni. Questo libro è Kubrick raccontato da Emilio, ma è anche Emilio stesso, in prima persona: un uomo che al cinema andava a vedere solo i western e che ha lavorato con Kubrick per decenni senza conoscere i suoi film, ma diventando un amico intimo del regista e di tutti i suoi familiari. [...]
Il libro, in ultima analisi, conferma molte delle leggende su Kubrick, sul suo perfezionismo, sul suo essere sempre super-informato su qualunque argomento, sul modo curioso e lievemente vampiresco di carpire informazioni a tutti e di “spremere” i propri collaboratori. Però riporta tutto questo a una dimensione umana, facendo piazza pulita delle leggende più stupide, come quella – mai abbastanza smentita – che Kubrick indossasse l’elmetto quando guidava (non lo faceva, e comunque non guidava quasi mai) e che tenesse addosso lo stesso vestito per mesi (semplicemente, quando trovava un vestito che gli andasse comodo ne comprava una ventina di capi, tutti uguali). Ne esce, insomma, il ritratto di un uomo esigente ma dolcissimo, del quale Emilio parla con enorme affetto.
È una lettura rilassante, per i kubrickiani che hanno trascorso anni a cercare di separare il grano dal loglio, la verità dalle “internet bullshit”, le cazzate che circolavano in rete.