Scartabellando tra i ritagli della mia collezione di articoli sulla vita di Stanley Kubrick, mi sono imbattuto in un reportage dal set del film Il Dr. Stranamore, in fase di ripresa agli Shepperton Studios fuori Londra.
L’articolo della rivista Film Daily esordisce in questo modo:
Avevamo cinque ore prima che il nostro volo per gli States partisse e ci domandavamo come avremmo fatto a mantenere l’impegno di visitare gli Shepperton Studios fuori la città di Londra tornando all’aeroporto in tempo… Nonostante il traffico labirintino che ci si parava davanti, capimmo di aver appena risolto i nostri problemi quando venne fuori che il nostro autista era un ex pilota automobilistico in grado non solo di schivare abilmente il traffico ma anche di superare i limiti di velocità senza farsi beccare dalla polizia.
Sono andato a controllare nella cronologia della vita di Emilio D’Alessandro e no, non si tratta di lui. Nel marzo 1963, quando l’articolo è stato pubblicato, Emilio lavorava al calzificio di Borehamwood e non aveva ancora iniziato ad interessarsi alle corse automobilistiche limitandosi a guidare la sua Ford Zephir blu notte.
L’infrazione del codice della strada avrebbe dovuto in effetti insospettirmi: Emilio ha superato solo una volta i limiti di velocità urbani, come ci racconta in questa “scena tagliata” dal libro, avvenuta nel 1970, poco prima dell’incontro con Kubrick.
La settimana dopo aver iniziato il lavoro con la Mac’s Minicabs, Tony mi disse che un cliente aveva richiesto un passaggio dall’aeroporto privato di Elstree all’Hotel Europa in centro a Londra; quando arrivai sul posto vidi scendere dal piccolo Cessna Colin Chapman, il fondatore del Lotus Team, colui che per primo mi aveva incoraggiato a intraprendere la carriera di pilota automobilistico. Non lo avevo più visto dopo quella domenica di tre anni prima, ora avrei avuto modo di ringraziarlo. Lo vidi però correre verso la mia auto, lanciare la sua valigia nel portabagagli e salire prima che potessi aprir bocca. Senza perder tempo, tornai al posto di guida e misi in moto. Emozionato, lo osservavo dallo specchietto retrovisore mentre armeggiava con una piccola borsa da cui tirava fuori dei pantaloni e una giacca elegante. “La conosce la strada fino l’Hotel Europa?” domandò sempre senza guardarmi. Dovevamo attraversare mezza Londra, circa una ventina di chilometri, dalla periferia al centro città, superando incroci, code e semafori. “Potrebbe per favore spingere un po’ di più sull’acceleratore?” mi disse la sua voce da dietro. Pensai per un attimo che in tutta la Greater London vigeva il limite di 30 miglia orarie ma realizzai immediatamente quanto un simile commento sarebbe stato un insulto a tutto ciò che Colin aveva fatto nella sua vita; schiacciai l’acceleratore e mi concentrai sulla strada. “Drive like a lighting, that’s right!” esclamò ridendo forte. Arrivai a toccare le 70 miglia orarie, sfrecciando accanto a palazzi, auto posteggiate e passanti mentre Colin si annodava il papillon lungo Finchley Rd. “Wow, fantastico tempo,” commentò uscendo dalla Zodiac e correndo verso l’ingresso dell’hotel; ma fece giusto due passi, si voltò e tornò indietro. Dal finestrino spuntò la sua faccia sorridente: “Ottima guida! La prossima volta chiederò di lei come autista.” Mai complimento più grande.